giovedì 28 gennaio 2010

Il saluto del viaggiatore al mare


The Edge of the Sea at Palavas" by Gustave Courbet


Uomo libero, sempre ti sarà caro il mare.
Il mare è uno specchio. Tu contempli
la tua anima nello svolgersi infinito
della sua lama
(Charles Baudelaire)

Saluto questo mare, ricerco un nuovo mondo
chissà da dove vengo, chissà se il mondo è tondo.
Mi chiama un'altra terra, la vedo calda e viva
Potrei, qua inabissato, raggiungerne la riva.

Eppur non l'ho mai vista, non vi è certa ragione
per cui io dovrei cercare, oltre il mare, un'illusione.
In fondo, da quella parte potrebbe esserci il nulla,
soltanto una infinita distesa arida e brulla

Potrei esser da solo, senz'altra anima viva
pentirmi dell'arrivo, sognare questa riva
O il viaggio oceanico potrei non terminare,
potrei colare a picco, rischiare di affogare.

Eppure questo mare saluto affabilmente
il corpo si trattiene, volata è li la mente
Ecco su questa riva il corpo ora si assiede
saluta la mia anima che lesta lo precede

(Vincenzo Cordovana)


L'immagine: "The Edge of the Sea at Palavas" di Gustave Courbet è un olio su tela(10-3/8 x 18-1/8 inches)custodito presso il Musée Fabre, Montpellier, Francia.
Il viaggiatore è tornato a vedere il mare. Non si muove a caso, ma sa perfettamente ciò che cerca.
Non è sorpreso da quello che vede ed è visibilmente ancora più forte di prima.
Noi assistiamo alla felicità discreta e sobria di questo ritrovamento.
Courbet ci da una grande lezione di vita: “Questo è un momento di felicità”.
Il saluto di Coubert, al mare, è sublime.
Un gesto che sembra dire: “Ti ho riconosciuto, ti adoro, ti onoro…e sono felice! ”
Coubert ha celebrato un istante; lo ha mostrato dandogli forma con i suoi pennelli. E’ un po’ come facciamo noi, ogni volta, quando prendiamo coscienza dei nostri momenti di felicità e cerchiamo di verbalizzarli.
C’è una frase magica, di quelle che inventano i bambini: “Questo momento è un istante di gioia“. Coscienza e, quindi, riconoscimento della felicità, con l'accesso ad una forma di eternità..
Questa gioia, è vero, non sarà eterna.
Ma rimarrà eternamente vera la  consapevolezza di aver vissuto questo momento.
Alcuni potranno dire: "Perché sforzarsi per provare gioia? Non rovinerà la sua essenza, immateriale e sfuggente? Perché aggiungere parole necessariamente maldestre e imprecise, a sensazioni così sottili e volateli?"
La risposta è semplice: perché vivere non è solo mettersi alla prova ma anche creare il proprio mondo.

sabato 23 gennaio 2010

Storia di un bidet, nemico giurato dei tarzanelli


La fine ingloriosa d'una Coca Cola...
(foto di Maurizio Crispi)

Fui un apprezzato bidet di una bella casa borghese. Vivevo in un bel bagno accanto ad un fantastico water con il quale condividevo lo stile proprio del bagno di classe. Ma avevo molto in comune anche con il lavandino con il quale condividevo la rubinetteria. Quante ne ho viste in tanti anni di onorata carriera anche se non sono mai venuto meno alla mia professionalità ed ho sempre mantenuto il sacro vincolo del segreto professionale. Quante lordure, quanti eccessi, quanti segreti sono stati lavati via da me, quanta freschezza ho donato a parti oscure e velate dell'umana e disumana anatomia.
Spesso il capofamiglia era fuori per lavoro e la signora, poco prima del suo rientro, invitava un tizio ad uscire velocemente di casa e mi chiedeva, furtiva di donarle una immediata freschezza.

Oppure, il capofamiglia, rincasato a tarda ora dopo una cena di lavoro, raggiuntomi con celerità e prima ancora di salutare la consorte mi utilizzava dirigendo, stranamente il getto a zampillo di cui ero dotato, verso l'organo emuntorio proprio dell'apparato digerente, omettendo di sottoporre alla catartica azione dell'acqua l'organo deputato alla funzione minzional-riproduttiva.
Ed io obbedivo senza nulla chiedere. Certo, sarò nato bidet ma stupido non lo sono di certo e, dal mio punto di osservazione, mi picco di essere il più delle volte riuscito a capire quel che c'era nella testa, nel cuore, e non solo, di quelli che si sottoponevano al mio servizio, senza parlare, da piccoli dettagli. Si possono capire le persone anche osservandole dal basso (ventre) verso l'alto.
Da questo punto di osservazione ho spesso conosciuto le bassezze di persone molto in alto.
Ricordo ancora quando, nella casa dove vivevo, erano soliti affidarmi le parti più intime e nascoste, gli umori d'una vita impronunciata.

Io riversavo su di loro la mia acqua abbondante, rinfrescante, depurante e loro si alzavano rinfrescati e rinfrancati, forse addirittura affrancati dal peso di un qualche ardore segreto, quasi, inconsapevolmente, attribuendomi il sacramentale e confessionale potere di disciogliere e far svanire una colpa insieme alle sue secrezioni.
Purtroppo i miei utilizzatori, ingrati come sanno essere soltanto gli uomini, hanno ritenuto che io non fossi abbastanza elegante per essere esibito ad alcune loro “nuove ed altolocate amicizie” e così hanno deciso di dismettermi e di sostituirmi con altri accessori dal perfilino dorato.
E così mi ritrovo in questa discarica abusiva tra lordure di ogni genere, solo con i miei ricordi.

A volte penso che, gettandomi via quasi fossi una vecchia ciabatta, abbiano voluto cancellare la loro stessa memoria come se cancellando la memoria di un povero bidet si potesse annullare l'effetto della loro cattiva digestione e della loro cattiva coscienza.
Auguro a chi mi ha sostituito molti anni di sereno lavoro al servizio della pulizia e dell'unione familiare.
Caro amico, lava, lava i loro umori, rinnova i loro cuori, puliscili di dentro, puliscili di fuori.

(MC) - Il Bidet, prezioso accessorio dele nostre abluzioni mattutine, non è di tutte le culture...
Ingrati coloro che vogliono abolire lo strumento principe per dare rinfresco alle nostre "ancinagghie" infiammate...
Ricordo che, a volte, trovandomi all'estero, in mancanza del prezioso bidet mi trovavo costretto a compiere mirabolanti acrobazie pur di adempiere adeguatamente ai lavacri mattutino delle parti basse e non sempre ciò avveniva agevolmente...
Tanto che diverse volte ni sono ritrovato a fantasticare di poter aver con me un bidet portatile o, ancor meglio, da tasca...
Sentivo nelle mie peregrinazioni di viaggiatore inquieto la mancanza del prezioso accessorio e, ogni volta che tornavo da questi lunghi estenuanti tour,la prima cosa che facevo non appena mettevo piede a casa era concedermi una prolungata abluzione nel bidet di casa del quale tanto avevo sentito la mancanza...
E non parliamo poi di quei bidet, oggi quasi obsoleti, dotati di spruzzo che ci irrova con energia perineo e dintorni: che goduria!
Le buone cose del tempo andate!
I popoli che non conoscono l'uso del bidet non hanno idea di quello che perdono in termini di piacevolezza, mentre come conseguenza il loro perineo è affollato di tarzanelli più o meno stagionati... Il bidet è il peggior nemico dei tarzanelli di cui sono grandi appassionati le più rustiche progenie...

Un po' di storia non guasta...
La parola bidet (definizione: lavabo utilizzato per il lavaggio della parte esterna dei genitali, delle natiche e dell'ano) è anche il nome francese per indicare il pony; deriva da bider che significa "trottare". L'omonimia è dovuta alla somiglianza delle posizioni che si assumono durante l'utilizzo del bidet con quella della cavalcata del pony. Il bidet inizia a comparire negli arredamenti francesi tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo, ma non si conosce né la data certa né il nome del suo inventore. La prima testimonianza certa risale al 1710, anno in cui il probabile inventore, Christophe Des Rosiers, lo installò presso l'abitazione della famiglia reale francese.
Dal 1900, durante l'età vittoriana, con l'avanzamento tecnologico delle tubature, il bidet, assieme al vaso da notte, divennero strumenti utilizzati nella stanza da bagno e non più in camera da letto. Indubbiamente la storia del bidet rappresenta un capitolo estremamente importanta nell'evoluzione dell'ifgiene intima...
Nel 1960 invece ci fu l'introduzione sul mercato del bidet elettronico cioè dovuto all'unione del gabinetto con il bidet, particolarmente utile in piccoli ambienti in cui i due sanitari non troverebbero posto.

I tarzanelli
I tarzanelli sono stati da sempre uno dei più grandi problemi dell'umanità, fin da quando è stato inventato il culo. Come gravità sono secondi soltanto al dramma dei cotton-fioc gettati nei cessi e ai monologhi di Fiorello.
Anche se in generale è considerata misteriosa, i più recenti studi hanno portato alla conclusione che l'incuria e la distrazione ne siano le cause più comuni. Si è notato statisticamente, nel campione significativo osservato (maschio adulto tra i 18 e i 45 anni), che l'assenza di acqua e di sapone, nei minuti immediatamente successivi alle deiezioni fecali, è direttamente collegata alla comparsa dei tarzanelli.
È anche il peggior nemico dei petomani poiché rovina a questi individui il passatempo preferito. Può manifestarsi in varie forme dimensioni e colori (dal vero color merda al giallo merda di ubriaco). Con il merlotto si può dare vita a vere opere d'arte moderna, che solo alcuni artisti possono creare.
Vorrei ricordare qui che gli Skiantos, nel loro disco "Sogno improbabile", hanno dedicato una canzone proprio ai "tarzanelli"...



 

venerdì 22 gennaio 2010

Latex, fetish ed altre storie


Guanto di latex e foglie secche...
(foto di Maurizio Crispi)

(AF) - Fra le foglie secche degli alberi spogli in autunno e la brezza della città assonnata… Latex!!!
Ormai questo materiale è da tutte le parti. E’ presente in più prodotti di uso quotidiano, medico, casalingo. Si vedono pubblicità di cerotti, palloni, tettarelle, pneumatci, preservativi, pinne, addirittura slip!!!!
Si ottiene dalla linfa lattea dell'albero della gomma, una pianta tropicale, ma nel processo di lavorazione vengono aggiunti vari additivi!!! Andando costantemente aumentando l'impiego sono aumentate anche dermatiti e allergie da sensibilizzazione dovute al contato con questo materiale.
Se pensiamo che la nostra mania a far diventare obsoleti gli oggetti prima possibile per avere motivi (validi o non ) per giustificare sostituzioni anche di prodotti ben funzionanti, sta provocando un disastro ecologico di immense proporzioni forse dovremmo riflettere sul nostro usa e getta!!!
Prima o poi rischi, Maurizio, nel tuo peregrinare fotografando, di trovare un vestito di latex e borchie per feste fetish… :-)))

(MC) - Una volta ho raccolto da terra un elefantino di peluche. Era piccolo piccolo: stava confortevolmente nel palmo della mia mano chiusa a pugno.L'ho portato a casa, l'ho lavato e strigliato ben bene e l'ho messo ad asciugare. Quindi l'ho mandato per posta ad una mia amica, accompagnandolo con una lettera che era, a tutti gli effetti, una richiesta di adozione a distanza da parte di un elefantino smarrito e trovatello. Il plico arrivò a destinazione, ma purtroppo aperto e depredato proprio del povero elefantino del quale da quel momento si sono perse le tracce. Chi sa adesso su quali sentieri del mondo starà girovagando, tutto solo e ramingo? Questa storia l'ho raccontata per arrivare al punto cruciale: dopo averlo raccolto e maneggiato, tempo due giorni, fui invaso da un prurito irrefrenabile in ogni parte del corpo, ma quello più penoso era nel palmo delle mani e nella pianta dei piedi. Passavo ogni notte, per quasi quindici giorni, a grattarmi irrefrenabilmente, insonne. E più mi grattavo più il prurito arrivava a vertici di insostenibilità. Cominciai a fantasticare che quell'elefantino fosse stato abbandonato a bella posta da qualche scienzato folle, dopo averlo intriso di batteri e virus da testare come armi biologiche (avevo letto poco tempo prima un medical thriller proprio incentrato su questo argomento)...
Con il collega medico che consultai giungemmo alla conclusione che, probabilmente, si era trattato di un'infezione virale di tipo neurale, in forma blanda, partendo dall'osservazione che non vi erano i segni tipici (a livello locale) delle manifestazioni di tipo allergico, insomma una neuropatia diffusa di tipo virale.
Poi, a poco a poco, la sintomatolagia si ridusse fino a scomparire del tutto. Ora non vorrei sbagliarmi ma cominciai a prendere anche del cortisone, dopo aver tentato, ma invano di lenire i sintomi, con gli antistaminici...
Ma il ricordo di quei giorni mi è rimasto indelebile...
Siccome, però, il lupo perde il pelo ma non il vizio, io continuai a raccogliere tutte quelle cose abbandonate per strada (decenti) che attraessero la mia attenzione, avendo l'accortezza di maneggiarle - prima del rituale (ed obbligatorio) lavaggio - con una certa cautela...
Ancora non mi è capitato di imbattermi in un abito di latex con borchie sadomaso, ma non dispero, sono certo che prima o poi anche questo incontro si avvererà...
Una pura curiosità: quel guanto di latex della foto, l'ho ritratto a nemmeno dieci metri di distanza dal punto in cui quasi tre anni fa avvenne il rinvenimento dell'elefantino di peluche...Forse quel guanto è stato abbandonato dallo stesso scienzato pazzo o dall'ecoterrorista che ha lasciato in giro altri personaggi di peluche contaminati con germi letali... Tremo solo al pensiero che ciò possa accadere come in alcune delle storie Robin Cook...

(VC) - Concordo sul fatto che viviamo in una società dei consumi che produce scorie di ogni genere.
Non rimane nulla, niente viene riutilizzato, ogni prodotto e forse anche ogni idea o emozione è ormai un prodotto “usa e getta”.
Siamo sommersi di rifiuti, di vuoti a perdere. Conservare, riparare, riutilizzare sono termini che descrivono un approccio alle cose ed a noi stessi che risulta certamente desueto, anacronistico.
L'avvento del “latex” in questo percorso involutivo ha certamente contribuito ad accelerare l'attuale, inquietante deriva verso il disastro ecologico che vividamente viene descritto da Alice.
Ricordo ancora quando, parecchio tempo fa, prima dell'avvento dell'era latex, l'attrezzatura da festa fetish era prodotta in materiali che ne consentivano il riutilizzo, bastava avere soltanto un po' di cura della costosa attrezzatura. Eravamo giovani, non c'era la disponibilità economica che ostentano oggi i nostri ragazzii ed i nostri genitori ci avevano educati ad avere cura delle nostre cose. Ricordo con quanta attenzione ci lustravamo e pulivamo le borchie e le nostre tutine fetish, altro che gettarle via dopo la prima orgia. Le davamo alle nostre mamme che con amore e pazienza le lavavano e le stendevano con il resto del bucato, insieme ai mutandoni del nonno. Che bello, che buono quell'odore di fresco e di pulito tipico della tutina fetish appena lavata. E poi che spettacolo vedere tutte queste tutine stese al mattino ad asciugare.
Quanto amore nelle nostre mamme che si prendevano cura della nostra attrezzatura per il sesso strano ed estremo!
Ed ora, invece, ora tutto è consumo, ostentazione, precarietà, volatilità.
Tutto ciò non fa altro che produrre tonnellate di rifiuti facendo arricchire dermatologi ed ecomafie.
Le nostre discariche sono letteralmente sommerse di prodotti in latex, di tutine fetish per nulla biodegradabili che si decomporranno, bene che vada, tra mille anni.
Certo, sarebbe meglio non produrre tutti questi rifiuti ed imparare a riutilizzare i nostri oggetti di piacere, siano essi preservativi, borchie, tutine fetish, ma anche frustini, catenine, cerottini tappabocca ed altri accessori per l'approccio sado-maso (vi ricordate le fascette tappabocca di una volta, quelle in materiale traspirante e lavabile che consentivano la respirazione della “vittima” e le avete confrontate con quelle plastificate di oggi, da gettare dopo il primo rantolo?), però, visto che realisticamente sembra che tale percorso non sia più possibile sarebbe almeno auspicabile l'adozione di moderni piani di smaltimento dei rifiuti. Urge attivare una moderna e civile raccolta differenziata per il reciclaggio dei prodotti dell'umana passione che non si limiti alle tipologie dei materiali che siamo abituati a selezionare.
Andrebbe predisposto un moderno piano rifiuti che preveda cassonetti per le più consuete, varie tipologie: carta, organici, vetro, plastica e... last but not least, preservativi, latex, tutine fetish...

(MC) - Quello di Enzo è davvero un lirico amrcord del buon tempo andato di come eravamo fetish sotto l'occhio benevolo e condiscendente delle nostre mamme... Invece oggi che tutto è "disposable", occorrerebbe predisporre dei siti per la raccolta differenziata riservati ad un'utenza esclusivamente adulta e, dunque, vietatissimi ai minori. Ma, certamente, attivando simili siti, occorrerebbe predisporre una sorveglianza a protezione dai riciclatori che sarebbero attratti dai preziosi trofei da arraffare per immetterli nel mercato amatoriale degli appassionati di  feticismo e di altre pratiche sessuali estreme. Immaginate quale effetto devastante per la gioia di simili personaggi potrebbe avere il preservativo termo-vibrante usato da Maradona subito prima di essere colto da uno dei suoi celebri infarti! Altro che orecchino battuto all'asta per la modica somma di 25.000 sterline! Quindi, auspico per questi centri di raccolta differenziata una speciale sorveglianza armata, con tanto di ammennicoli "tematici": guardie in divisa da SS, feroci cani al guinzaglio, torrette di guardia, filo spinato elettrificato ad alto voltaggio. E il gioco sarebbe fatto!
Magari, uno dei prossimi giorni il nostro egregio Ministro Brunetto da Montalcino si sveglierà con questa idea innovativa per la testa, abbinando a questo progetto altre sue lodevoli iniziative per modernizzare la nostra società... 
Infatti, per l'attuazione d'un simile scenario occorrrerà molto personale bene addestrato: uno sbocco di lavoro ideale per docenti scolastici ed universitari rimasti senza impiego e una collocazione altrettanto buona per diciottenni pronti a migrare fuori casa al raggiungimento della maggiore età per evitare di essere marchiati a fuoco con l'infame appellattivo di "bamboccione" e di quindicenni altrettanto vogliosi di abbandonare precocemente la scuola per essere immessi in un percorso lavorativo alternativo ed equivalente all'istruzione scolastica.
E così saremo tutti contenti e felici...
Il futuro lavorativo dei nostri figli sarà pienamente garantito e noi potremo dormire sonni tranquilli...

mercoledì 20 gennaio 2010

Il Babbo Natale verace è desnudo o vestido?

“...Babbo Natale nudo...? che vergogna..., un uomo integerrimo come lui..., da uno come lui non me lo sarei mai aspettato... E' un mito che crolla...
Non lo riconosco con quello sguardo che sembra accecato dalla lussuria...”

(VC) - Scusate, ma non vedo che ci sia di strano nel vedere Babbo Natale desnudo. Il nome stesso ci dovrebbe fare intendere che quest'uomo in abito di scena abbia una vita privata e, oserei dire, anche intima.

Infatti, il nome Babbo fa certo riferimento al fatto che il barbuto canuto si sia riprodotto e se ben ricordo, per attivare la funzione della riproduzione è preferibile togliere l'abito da lavoro.
Per carità, si può anche fare senza spogliarsi del tutto, ad esempio una sveltina nella slitta, ma certamente spogliandosi viene meglio e Babbo Natale lo sa.
Ma, se ciò non bastasse, anche il nome Natale ci dovrebbe indurre a pensare alla natalità.
Ragazzi, avete mai visto una natalità senza il concepimento? Ed allora c'è nessuno che mi sappia dire come si procede al concepimento?
La mamma non vi ha detto niente?
E poi, siamo uomini di mondo, quest'uomo che ci porta i doni e che chiamiamo Babbo Natale si sarà pur trovato in una qualche situazione un poco intrigante e allora? Che volete?
Si chiamerà pure Babbo Natale ma babbo non lo è di certo.
Non preoccuparti Babbo Natale, accade con te quello che accade un pò con tutti: ti vorremmo fedele all'idea di te che ci siamo fatti e quindi al ruolo che ti abbiamo attribuito, nel tuo caso di omone buono ed asessuato.
Tu che sei saggio lo sai bene che noi ricorriamo a questi mezzucci per controllarci meglio a vicenda.
Ma io credo che questo ruolo ti stia un pò stretto e che in te ci sia l'animo dello "sciupafemmene" ed allora fregatene di noi e del ruolo, fai quello che ti piace e che ti fa stare meglio, noi ce ne faremo una ragione e ci inventeremo altre icone buoniste.
E' questo il regalo che voglio farti per Natale, pensa anche a te stesso, a quello che sei e non a quello che amiamo immaginare dei te e non rinunciare alla tua unica vita.
Stai tranquillo, in fondo Babbo Natale sei tu e quindi, anche se dovessi comportarti male, non c'è nessun altro che ti potrà portare del carbone...

(MC) - Per quanto riguarda la funzione riproduttiva non è detto che Babbo Natale debba togliersi l'abito da lavoro. Quello fa parte ineliminabile del suo essere: come alla camicia intrisa del sangue centuaro nesso, di cui Deianira fece dono ad Eracle per legarlo a sè con eterno ed ardente amore: solo che quel sangue, siccome contaminato dalla freccia avvelenata con cui Eracle aveva ucciso il centauro, provocò al poveretto indicibili e brucianti dolori tali da levargli il senno. Quella camicia non si incollava alla pelle, l'abito di Babbo Natale sì, invece. E se si tentasse di rimuoverlo, ilpovero Babbo Natale sarebbe colto da lancinanti dolori. L'abito, in questo caso, fa il Babbo Natale. Babbo Natale desnudo è una contraddizione in termini, poichè senza abito da lavoro non ci sarebbe più un Babbo Natale, forse al massimo un semplice "Natale" o "Pasquale".
Già, a questo non ci avete pensato: in qualche parte del mondo esistono anche i Babbi "Pasquali" che però usano indossare lo stesso abito  del loro fratello nmaggiore (sempre incollato alla pelle).
Dunque, il Babbo Natale - per questo motivo - è di base "desnudo": nel senso che quando non è in servizio gli è fatto obbligo rivestirsi con quegli abiti da camera più consoni al riposo e al relax. In fondo, è' come Superman che, malgrado l'assioma partorito dall'acuta mente di Vincenzo che recita esattamente il contrario, è sempre pronto! Nel caso di bimbi bisognosi di ricevere un regalo fuori tempo è sempre pronto ad assumere le giuste sembianze: è sufficiente che svesta il suo abito da camera ed eccolo lì, con il suo tradizionale abito rosso e bianco, i cui colori gli sono stati concessi in comodato d'uso gratuito dalla Coca Cola!!!
E fuori dalla finestra c'è la slitta con traino di renne, anche lei  "sempre pronta".
Sì, Enzo, lui sì che uno di quelli tosti, proprio perchè è sempre pronto! E non ha mai bisogno di recitare il famoso assioma che "...visto che non si può mai essere del tutto pronti, allora si è sempre pronti".
Ma veniamo alla funzione riproduttiva.
Proprio perchè Babbo Natale è sempre pronto, la funzione riproduttiva la può esercitare in qualsiasi momento sia quando è desnudo, cioè con indosso solo i suoi abiti ufficiali (quelli incollati alla pelle) sia quando è "vestido", cioè con le comode e morbide vesti da camera dai colori un po' meno squillanti.
E come procede in simili casi?
Sul davanti dei pantaloni possiede una comoda finestra di tessuto, disegnata a ribaltina e tenuta in posizione da due striscioline di velcro.
In qualsiasi momento ve ne sia bisogno, gli è sufficiente abbassare questo lembo di tessuto ed ecco che già impugna in mano il suo prezioso (e, si potrebbe dire, anche regale) attrezzo, con il quale esercitare la funzione riproduttiva.
Una nota interessante è che, nell'abito incollato alla pelle, questa finestrella di tessuto è l'unica parte in cui si può accedere liberamente al tessuto sottostante (e all'attrezzo riproduttivo) che, tuttavia, alla partner designata, per via di un'illusione ottica, apparirà sempre nei colori ufficiali di Babbo Natale desnudo, cioè in bianco e rosso.
I genitali bianco-rossi, vividamente colorati a somiglianza di quanto accade in alcune grandi scimmie (ma a Babbo Natale manca il turchino), contraddistinguono i veri Babbi Natale desnudi dai volgari contraffattori.

lunedì 18 gennaio 2010

Simulazione di un X-Factor estivo di casa nostra


Aspettando l'estate
(foto di Maurizio Crispi)

(VC) - Queste quattro sedie da regista sul parquet di legno nella spiaggia mi sembrano destinate a fare accomodare i giurati di una manifestazione estiva di espressività artistico-canora che, in qualche modo, evocherebbe una sorta di X-Factor di casa nostra. Già mi sembra di vedere aspiranti soubrettine nutrite di danza e di espressività corporea (nutrite anche troppo tanto da necessitare dell'indifferibile intervento del dietologo) lanciarsi in improbabili spaccate realizzate con il decisivo contributo della forza di gravita e della massa e, quindi, con brusca accelerazione del moto verso il basso della futura stella. Solo la soffice presenza della sabbia consentirà di evitare che la velleitaria figura artistica esiti in gravi traumi pelvici e perineali.
Ehi! Guarda quest'altra concorrente con cilindro e bastone, emula dell'Angelo Azzurro, con la sua tutina, calzina e scarpina modello Terzo Reich!
Ha appena eseguito un rapido volteggio con le sue lunghe gambone alla Marlene Dietrich. Molto apprezzato dal morbosissimo publico maschile, peccato che il movimento rasente al suolo del piedino scarpinato abbia raccolto e proiettato una sventagliata di sabbia sui giurati che, insabbiati, adesso si stanno scrollando indispettiti (notina di colore: la parola “indis-pettito” ben si addice al petto ed alla vertiginosa scollatura di una giurata adesso, anch'esso infarimato di una spolverata di finissima sabbia).
Anche molti bicchieri di fresco aperitivo estivo dal colore celestino sono stati colpiti dalla microgranulosità che simboleggia il mare e l'estate.
Ecco, adesso tutti ridiamo ed apprezziamo l'originalità del decimo concorrente supermolleggiato della serata il quale, intervistato dal presentatore ha dichiarato di esibisi in questa imitazione dell'età di due anni suscitando stupore ed ammirazione dei familiari, prima e degli amici poi.
Una vera vocazione artistica, un genio del mimetismo umano.
Un talento precocissimo, come Mozart, forse anche più apprrezzabile visto che Mozart non faceva ridere nessuno mentre lui , con quelle espressioni ammiccanti risulta di una simpatia straordinaria.
E sulle quattro sedie troviamo i giurati: l'esperta e navigata attrice di teatro leggero che ha calcato i palcoscenici di tutta la provincia, il neo-discografico stempiato e decisamente sovrappeso, la coreografa prima, ballerina del corpo di ballo del celeberrimo e prestigioso teatro Avanguardia Sud, ora titolare di una scuola di danza moderna, classica, latino-americana, di gruppo, tip-tap, del ventre, acrobatica, tango, flamenco, liscio, minuetto, ballo del quà-quà (stile originale Romina Power), Tuca-Tuca (stile originale Raffaella Carrà), e un notissimo attore nonché seduttore infallibile ed invidiatissimo, l'uomo più anticongiuntivo che si conosca per il quale casca a pennello il vecchio slogan “fatti non parole”.
Molti, ragazzi e non, approfittando del bel momento di spettacolo, della calca, del calore ruffiano dell'estate prenderanno la mano di una donna accanto a loro. Lei non la ritrarrà perchè anch'essa estivizzata.
Entrambi, senza dirlo, penseranno:
“...che far di questa mano, la prendo o l'abbandono,
in fondo la vita, l'estate, il calor son sempre un dono.
Non puoi celar l'ardore,
del magico attrattore,
finchè saremo vivi
noi ci abbandoneremo ai dolci amori estivi...”
(MC) - Non c'è che dire: uno splendido spettacolo fantasma generanto dalla lussureggiante ed ironica fantasia dell'amico Enzo!
Ma con la fantasia, si può tutto...
Certo se di poltrone "da regista", invece di quattro schierate in bell'ordine, ce ne fosse stata soltanto uno, la storia avrebbe potuto prendere tutt'altra piega.
Ma siamo qua proprio per illustrare come a partire da una stessa cosa possano dipanarsi storie divergenti...

sabato 16 gennaio 2010

Bici anaclitiche alla ricerca di un centro di gravità permanente


Bici anaclitiche
(foto di Maurizio Crispi)

(VC) - Anche in questo caso si evidenzia un rilievo già altre volte espresso ovvero che unendo due debolezze si potrebbe recuperare una nuova forza ed una nuova, valida, funzionalità.
Una bici, si sa, senza il supporto di un cavalletto mantiene un equilibrio soltanto per qualche secondo per poi precipitare, inseguendo un irraggiungibile baricentro.
Queste due bici hanno intuito, non dico hanno capito perchè una bici è priva di cervello e quindi non la accreditiamo di capacità logica, però nel loro essere strutture semplici hanno certamente intuito che la forza della gravità e dell'energia cinetica che le spingeva fatalmente ad una rovinosa caduta era essa stessa utilizzabile a supporto dell'altra.
L'unione delle loro forze negative, ovvero delle loro debolezze, le porta a ricreare una nuova struttura composta dall'unione delle due bici, una sorta di bi-bici miracolosamente auto-supportante.
E' inoltre stupefacente come il baricentro in questo caso non sia da cercarsi in basso, sotto di sè, nella proiezione di sé al suolo, ma risieda in un puovo punto che si trova esattamente al centro, tra le due bici ora congiunte in una bi-bici.
E poi mi sembra di vedere una cosa che se fosse vera avrebbe dell'incredibile: la bi-bici ha deciso di provare a muoversi autonomamente, i segni della ruota sulla spiaggia lo farebbero intuire.
Adesso sono quasi arrivate in riva al mare, forse meditano di entrare in acqua (saranno bici in alluminio e non temono la ruggine). Essendo delle bici non respirano e quindi possono anche restare sul fondo del mare. Forse hanno deciso di camminare sul fondo del mare emergendo oltre l'Oceano, forse camminando sul fondo marino, forti del loro ritrovato equilibrio che deriva dall'avere scoperto un nuovo baricentro, passeggeranno anche sopra i resti della mitica Atlantide.

(MC) - La bici in movimento è l'esempio perfetto per spiegare l'omeostasi del vivente che è data da un susseguirsi di continue "crisi" che perturbano un equilibrio del mezzo interno che non è mai statico, ma sempre e continuamente dinamico.
Quando si va in bici, l'equilibrio complessivo è la risultante vettoriale di una serie di disequilibri alternati a microcorrezioni dell'assetto.
Questa è la metafora del nostro procedere attraverso le vicissitudini di vita.
Non abbiamo un equilibrio dato per sempre, ma siamo degli "squilibrati" alla ricerca di un equilibrio.
Se si ha la consapevolezza di ciò, si è avvantaggiati.
Chi crede di essere "equilibrato" una volta per tutte è preda di un grave errore cognitivo e il suo pseudo-equilibrio e la sicurezza monolitica che ne derivano saranno causa di grande sofferenza per gli altri.
Le due bici "anaclitiche" fanno grande tenerezza perchè fanno davvero riflettere che l'appoggio reciproco in certe circostanze può essere un autentico punto di forza: se non si è soli, anzichè correre sempre alla ricerca del proprio punto di equilibrio, ci si può anche fermare a puntellarsi vicendolmente e a contemplare. L'importante è che questo sostegno complementare non si trasformi in una condizione insostituible dell'essere simbionti e legati indissolubilmente per sempre in un'immobilità funeraria...

(VC) - Capisco l'antifona! C'è il rischio di una cristallizzazione, anaclitica per l'appunto, della nuova organizzazione simbionte, che sembrerebbe anche più insidioso di una sofferta insufficienza. Il rischio di non potere più spostare il proprio baricentro, di dover mantenere un equilibrio statico ed immobile potrebbe risultare disturbante e, ad alcuni, addirittura odioso (io credo di appartenere a questa categoria) più di quanto non sarebbe la possibilità di perdere il proprio punto di gravità con il connesso rischio di una rovinosa caduta.
Forse in un sistema bi-bici, come in un qualsiasi altro sistema bi-umano o bi-altro andrebbero introdotti elementi di opportuna discontinuità che alterino la staticità di un acquisito punto di equilibrio in attesa che se ne possa ricreare uno ulteriore.
Forse la bi-bici dovrebbe recuperare la propria identità di semplice bici intesa come struttura destinata alla ricerca di un equilibrio dinamico ovvero derivante da infiniti aggiustamenti, infinite e costanti crisi nel corso delle quali ogni precedente equilibrio verrà messo in discussione, smarrito e, se la vita vorrà, riorganizzato. Forse le bi-bici dovrebbero approfittare di una discesa per provare a staccarsi ed a ritrovare un loro centro di gravità.
Ma non sarà più l'equilibrio di prima, sarà un nuovo momento di felicità, preziosa perchè libera e precaria.

(AF) -  Scusate l'intrusione, ma a quest'ora, un bel piatto di tagliatelle forse vi farebbe rinsavire ... :-)))

(VC) - Grazie Alice, non devi scusarti proprio di nulla anzi il tuo intervento è quanto mai opportuno, hai capito perfettamente che certe cose si possono pensare soltanto in stato di ipoglicemia. Mi hai salvato dal temutissimo deperimento organico. Vado a tuffarmi nel vero centro di gravità permanente, nel vero ombelico del mondo: il tortellino...

(MC) - @Alice: Enzo è davvero geniale! Lasciamolo al suo tuffo ristoratore nel tortellino che potrebbe essere anche inteso come salvagente e dunque ancora una volta partecipe delle qualità dell'anaclitismo... Cara Alice, sei giunta da poco e devi abituarti a questi duetti tra me e l'amico Enzo, nei quali il tuo contributo prezioso è e sarà il benvenuto!

mercoledì 13 gennaio 2010

Winnie the Pooh o Teddy Bear? This is the problem!


 Foto di Maurizio Crispi

Quei piccoli gesti quotidiani che ti salvano la vita e ti ancorano ad un punto fermo, quando ti accorgi che tutto, attorno e dentro di te, scivola via, alla deriva.
Assieme al Teddy Bear di peluche ci sono anche io, in riflesso.
Perchè ho messo questa foto a corredare questo commento?
Non so...
Forse, perchè qualcuno una volta, non molto tempo fa, mi ha detto che ero un cucciolo d'uomo...

(AS) - Bellissima foto! ma non è il Teddy quello che hai fotografato, è Winny the Pooh!!!

(MC) - Sì, hai proprio ragione tu!!! Touché! Ma Winnie the Pooh è un antesignano oppure un epigono del Teddy Bear che ha immortalato, nell'immaginario degli americani USA, il loro presidente Theodore Roosevelt, paradigma d'una vita avventurosa e a contatto della natura.

(AS) - Caro mio, questo è un tentativo fallito di arrampicamento sugli specchi!!! Non credo che Winnie the pooh sia un antesignano del Teddy, perchè ha delle caratteristiche molto peculiari, una casa e degli amici e poi è notoriamente cretino!!! Col Teddy condivide solo la specie di appartenenza, molto pelosina!!!

(MC) - Appunto! E direi anche "tenerosa", anche se l'orso in natura è un'animale assolutamente temibile... Comunque, siccome non mi arrendo facilmente, questo è uno stralcio dalla storia del Teddy Bear, cioè dell'orsacchioto di peluche in tutte le sue infinite varianti.
"Gli orsacchiotti di inizio secolo avevano gli occhi fatti con bottoni, ed erano snodati alle braccia e alle gambe. Quel tipo di giocattolo rimane un classico ed è ancora commercializzato in numerose varianti, oltre a essere stato preso come modello per molti personaggi di grande popolarità (vedi per esempio Winnie the Pooh e Paddington)".
Se vuoi leggere tutta la storia vai alla voce di wikipedia, specificamente dedicata al Teddy Bear (Orsacchiotto).

(AS) - indubbiamente, saranno anche parenti, ma tu avresti il coraggio di raccontarlo a un bimbetto che si aspetta Winnie ed invece riceve un Teddy!!! Io no!!! Sento già infiniti echi di natura "chianciulina" per secula seculorum!!! Nonchè il rischio di ricevere la nomea di "quello che ha sbagliato orso", il rovina-natale per antonomasia, il Grinch de noiantri!!! ;)

martedì 12 gennaio 2010

Cosa vedi quando alzi lo sguardo?


Quante volte un uomo dovrà guardare in alto prima di vedere il cielo?
 (foto di Maurizio Crispi)



Blowin' In The Wind (Bob Dylan)
How many roads must a man walk down
Before you call him a man?
Yes, 'n' how many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes, 'n' how many times must the cannon balls fly
Before they're forever banned?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.


How many years can a mountain exist
Before it's washed to the sea?
Yes, 'n' how many years can some people exist
Before they're allowed to be free?
Yes, 'n' how many times can a man turn his head,
Pretending he just doesn't see?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.


How many times must a man look up
Before he can see the sky?
Yes, 'n' how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
Yes, 'n' how many deaths will it take till he knows
That too many people have died?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
[Copyright ©1962; renewed 1990 Special Rider Music]

(AF) - Cosa c'è quando si alza lo sguardo?

(MC) - Il foglietto (tipico di un quaderno di scuola delle prime classi) mi ha evocato certe punizioni che venivano elargite quando andavo alle Elementari. Del tipo: scrivere 500 volte in bella grafia "Non si copia dal compagno" oppure "Non si parla in classe".
Una volta ricevetti una simile punizione da sviluppare a casa. Siccome non volevo che i miei lo venissero a saperlo (perchè ero troppo mortificato) mi infilai a scrivere compulsivamente sempre la stessa frase sotto il letto, facendo finta che ero strisciato lì sotto per giocare e lì rimasi, trepidante, sino alla fine del "compito"...

(AF) - Dopo questo racconto...comprendo perchè hai deciso di occuparti di psichiatria... Io ho avuto la fortuna di avere un' insegnante alle elementari che usava "il bastone e la carota", ma nel senso buono...
Nessuna punizione, riusciva ad essere autorevole senza essere autoritaria.

(MC) - Ho fatto le elementari con i Gesuiti (Gonzaga): non c'era mai bisogno di molto per incuterti timore. Niente violenza agita, mai. Solo sottile persuasione e questa punizione che ho raccontato era nello stile. Faceva sì che tu, nel momento in cui eri punito, introiettasi un'istanza morale di forte controllo, ma nello stesso tempo, rendendoti l'artefice della punizione la cui esecuzione veniva demandata ad un tempo successivo senza un "controllore", consentiva che tu potessi nascondere la tua colpa e vivere, sia la colpa sia la punizione come un fatto privato, come facevo io - appunto - nascondendomi sotto il letto...

(EG) - Non mi sembra sia importante cosa possa esserci su in alto, dove si deve volgere lo sguardo... L'importante, penso, sia riuscire a farlo qualche volta, per non rimanere chiusi nelle nostre case, nelle nostre menti, nelle nostre "cosucce" quotidiane e per poter anche solamente pensare che ci sono ancora tante cose da sperimentare... ottimo suggerimento!

(MC) - Non sempre è sufficiente... Dipende dalle persone... Ci sono alcuni che alzano lo sguardo al cielo e non riescono a vedere nulla... Lo dice Bob Dylan in Blowin' in the wind:
How many times must a man look up
Before he can see the sky?
E, quando alla fine, ci si riesce, dimenticando se stessi, le beghe, i piccoli egoismi quotidiani, le ambizioni che ti rodono dentro, perdendosi nell'immensità dello spazio vuoto che si può riempire di cose nuove ed inaspettate, che ti può dare la vertigine dell'infinito, allora è una cosa davvero grande!

(AF) - Hai trovato il termine esatto: ... la vertigine dell'infinito. Credo che sia una delle sensazioni più uniche e grandi che provo quando da sola passeggio sulla spiaggia.

(MC) - E, qui, potremmo tornare a Leopardi sempre così attuale!!!

Una panchina per ritrovarsi


Per ritrovarsi (foto di Grazia Vaghi)



(GV) - Stavo camminando e senza fermarmi mi sono voltata, li ho visti e ho scattato al volo... e non e' mossa... Il lato B ha avuto un ruolo fondamentale in questo scatto.

(BB) - Questa è indubbiamente molto bella! Immaginiamo che durante una vacanza dopo un litigio lui e lei si appanchinano ai due poli opposti della seduta, poi lei con tenerezza cerca il ravvicinamento estendendo il braccio timidamente verso di lui nella speranza che si possa far pace. Chissa come finirà!?

(MC) - Sì, sono d'accordo: quel braccio che si protende, da solo, racconta tutta una storia ed esprime una forte tensione verso un ravvicinamento... In questa storia la panchina avrebbe dunque una funzione catalizzatrice... Forse, quando ci sono motivi di tensione all'interno di una coppia, bisognerebbe provarci a sedersi su di una panchina per vedere cosa succede... Penso, tuttavia, che lo scenario - in simili faccende - possa avere una sua importanza...

venerdì 8 gennaio 2010

Ombre e realtà: siamo solo ombre...


Frida ed io, le nostre ombre lunghe...
(foto di Maurizio Crispi)

(VC) - Come già una volta scrivesti, forse noi siamo soltanto ombre. In questa foto, ad esempio, vediamo Fridombra e Maurombra.
Forse la realtà sono le ombre.
Forse quando la luce colpisce l'ombra viene riflessa dell'ombra stessa e si crea una immagine colorata e tridimensionale che fornisce l'illusione della corporeità.
Quando le ombre volgono lo sguardo alla luce si vedono trasfigurate in queste nuove forme e colori. Per le ombre l'effetto è un po' come quello che si avrebbe guardando dentro un kaleidoscopio.
Allora le ombre cominciano a fantasticare una loro vita a colori, una vita psichedelica, una vita corporea. Alcune ombre tanto si immergono in questa immagine riflessa di sé che giungono a perdere il senso del loro essere ombra, della loro “ombrità” e cominciano a credere di essere tridimensionali, di avere un peso, un'altezza, un cuore che batte, un volto che arrossisce e così via con altre illusorie immagini riflesse. Basta invece che le ombre volgano lo sguardo da un'altra parte per fare svanire, all'improvviso, ogni luce, ogni colore, ogni calore.
Forse le ombre esistono anche al buio, soltanto che non si vedono.
Molte ombre sono così legate all'immagine riflessa e corporea di sé che non smettono mai, nemmeno per un istante, di guardare verso la luce.
Alcune fingono anche di parlarsi, alcune fingono di capirsi.
Alcune ombre, fortemente attratte dalla luce, le cosiddette “ombre falena” arrivano a pronunciare la frase suprema “Tu sei la luce degli occhi miei".

Platone e il mito della caverna delle idee
Al centro della “CITTÀ” detta anche “REPUBBLICA” si colloca un celeberrimo mito detto “della caverna”.  Immaginiamo degli uomini che vivano in una abitazione sotterranea, in una caverna che abbia l’ingresso aperto verso la luce per tutta la sua larghezza, con un lungo andito d’accesso; e immaginiamo che gli abitanti di questa caverna siano legati alle gambe ed al collo in modo che non possano girarsi e che quindi possano guardare unicamente verso il fondo della caverna medesima. Immaginiamo poi che, appena fuori dalla caverna, vi sia un muricciolo ad altezza d’uomo e che dietro questo, (quindi interamente coperti dal muricciolo) si muovano degli uomini che portano sulle spalle statue lavorate in pietra e in legno, raffiguranti tutti i generi di cose. Immaginiamo, ancora, che dietro questi uomini arda un grande fuoco e che, in alto, splenda il sole. Infine, immaginiamo che la caverna abbia una eco e che gli uomini che passano al di là del muro parlino e che le loro voci rimbalzino per effetto dell’eco. Ebbene, se così fosse, quei prigionieri non potrebbero vedere altro che le ombre delle statue che si proiettano sul fondo della caverna e udrebbero l’eco delle voci; ma essi crederebbero anche che le voci dell’eco fossero le voci prodotte da quelle ombre. Ora, supponiamo che uno di questi prigionieri riesca a sciogliersi a fatica dai ceppi; ebbene, costui con fatica riuscirebbe ad abituarsi alla nuova visione che gli apparirebbe e, abituandosi, vedrebbe le statuette muoversi al di sopra del muro e capirebbe che quelle sono ben più vere di quelle cose che prima vedeva e che ora gli appaiono come ombre. Supponiamo che qualcuno tragga il nostro prigioniero fuori della caverna e al di là del muro; ebbene, egli resterebbe abbagliato prima dalla gran luce e poi, abituandosi, vedrebbe le cose stesse e, da ultimo, prima riflessa e poi in se, vedrebbe la luce stessa del sole e capirebbe che queste e solo queste sono le realtà vere e che il sole è causa di tutte le altre cose visibili.



venerdì 1 gennaio 2010

Gli uomini invisibili: essi camminano tra noi!


(foto di Maurizio Crispi)

La Mano Nera a Palermo! Oppure si tratta di un segno inquietante della presenza dell 'Uomo Invisibile di wellsiana memoria?
Ma tanto è bastato per scatenare la fantasia di Enzo!

(VC) - Non bisogna stupisi più di tanto, quella che vediamo è certamente la mano guantata dell'uomo invisibile.




E' molto probabile che il nostro “Invisible man” abbia una dermatite da contatto (invisibile) e che abbia quindi deciso di mettere un guanto protettivo, tradendo così la sua presenza altrimenti celata ai più. Da quanto dico se ne deduce che il nostro amico sia totalmente nudo e che sia solito passeggiare per la città così come mamma lo fece.
E' anche abbastanza ovvio che gli uomini invisibili possano concedersi simili libertà soltanto alle latitudini delle regioni del sud per motivi di clima.
La foto lo descrive alla vigilia di un Natale del Sud con un tempo stupendo ed una temperatura di 25 gradi.
Da qualche parte sarà stato certamente descritto un costante flusso migratorio di uomini invisibili dalle regioni del freddo nord alle calde regioni del meridione dove il sole consente a tali creature di girare per la città indisturbate e prive di abiti.
Se fosse attivato, come auspicherei, un apposito sistema di rilevamento a mezzo sonar si capirebbe che uomini e donne invisibili e desnude si aggirano per le città calde, passeggiano per la strada, prendono il tram (non visti evitano di pagare il biglietto), frequentano le chiese, i locali pubblici, vanno al cinematografo. Certamente amano affiancarsi a noi, magari sbirciano il nostro giornale e forse ogni tanto, mentre ci distraiamo, ci rubano qualche pop corn o qualche patatina. Del resto, per non essere smascherati, devono fare subito sparire nella bocca il boccone e quindi possono limitarsi a furtarelli di cibo da poco conto.
Ma non bisogna credere che la vita per un “invisible man or woman” sia tutta rose e fiori.
Infatti, agli uomini invisibili è interdetto il bagno nel mare ove vi siano spiagge sabbiose.
Immaginiamo infatti un uomo invisibile che dopo un bel tuffo tonificante si sdrai sulla sabbia per asciugarsi, avremmo un effetto definito “uomo invisibile infarinato”, ovvero uno strato di sabbia incollato al corpo invisibile che vaga per la spiaggia. In questi casi l'uomo invisibile dovrà raggiungere una doccia con assoluta celerità e tuffarvisi senza alcun mugolio per non farsi smarcherare nonostante l'acqua delle docce sia spesso inspiegabilmente gelida.
Detto ciò credo di prevenire la domanda maliziosa che certamente ci staremo ponendo, ovvero se la condizione di invisibilità, associata alla correlata nudità, crei condizioni atte a favorire il contatto interumano.
Ebbene, amici, non è assolutamente come si potrebbe pensare e quindi niente sorrisini maliziosi! Infatti, neanche gli uomini invisibili sono visibili l'uno con l'altro.
Si dice, al riguardo, che per incontrarsi e - che male c'è in fondo! è una cosa del tutto naturale!  - per unirsi in coppie gli uomini invisibili nel periodo degli amori siano soliti camminare con le braccia aperte così da creare una maggiore area di impatto e quindi una maggiore possibilità di incontro con un altro eventuale uomo o donna o gay o lesbica invisibile ["E chi piglio piglio!", come nelle dark room tanto frequentate dai gay in certi luoghi del mondo]. Quando il contatto avviene e la coppia percepisce a pelle invisibile un invisibile (per noi visibili) feeling ha una assoluta esigenza di non perdere il contatto che non essendo visivo dovrà essere necessariamente tattile ed olfattivo.
Staccarsi può volere dire la fine della storia d'amore per l'impossibilità materiale di reincontrare il/la partner.
Si narra di coppie invisibili che per il timore di perdersi e non più ritrovarsi sono rimaste per cinquanta anni mano nella mano, senza staccarsi un solo secondo.
Noi visibili siamo soliti dire frasi del tipo “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” oppure “non ci vedremo più”, gli uomini invisibili usano dire, invece, frasi del tipo “lontano dal corpo, lontano dal cuore” oppure “noi non ci toccheremo più”.
Quando sono soli gli uomini invisibili amano vestirsi per identificarsi.
Quando si spogliano per fare l'amore gli amanti invisibili sono contenti di sentire il contatto con la pelle dell'altro ma un po' si dispiacciono di non vedere più nulla dell'altro.
Gli innamorati invisibili immaginano il volto dell'altro/a e dicono frasi del tipo “ti immagino come la donna più bella del mondo” oppure “immagino che tu hai un sorriso che conquista”.
Quando un amore finisce piangono lacrime invisibili e dicono frasi del tipo “tu non mi immagini più bella come una volta” oppure “tu immagini un'altra donna”, oppure “ti ho immaginato immaginare un'altra”.
Al culmine della passione amorosa invisibile gli innamorati invisibili sono soliti dire la frase "io non immagino altro che te".

(MC) - Davvero straordinaria questa rappresentazione del mondo degli uomini invisibili. E' chiaro che la prossemica, le distanze interpersonali, i sensi prevalentemente utilizzati in una condizioni di invisibilità che rende invisibili persino ai propri simili altrettanto invisibili, cambiano radicalmente rispetto a tutti quelli che sono "normalmente" visibili...
Molto wellsiana questa rappresentazione, in linea cioè con la creazione letteraria avviata da H. G. Wells, con la sua storia magistrale "L'uomo invisibile" (che, tra l'altro, è stato oggetto di alcune riduzioni cinematografiche).
Enzo se li rappresenta molto simili e, costretti dalla necessità, ad adattare il proprio mondo percettivo e linguistico, dal momento che non possono interagire con gli altri esseri invisibili, se non coprendosi di indumenti e, quindi, di fatto nascondendo la propria invisibilità ai propri simili.
Nel romanzo di anticipazione di H. G. Wells l'uomo invisibile è uno scienzato che decide di usare se stesso come cavia per la realizzazione ultima della sua invenzione (un siero che rende invisibili), senza sapere che, funzionando, opererà in lui una trasformazione irreversibile.
Sarà per sempre invisibile a tutti e potrà manifestarsi nella sua tridimensionalità e fisicità, soltanto se ricopre il suo volto di bende e ha il corpo interamente ricoperto da indumenti.
Pur costretto ad un'inevitabile solitudine, scopre ben presto il grande potere che gli è conferito dall'invisibilità. Può fare dei dispetti agli uomini "normali", da quelli più lievi a quelli più gravi, in una progressiva escalation che lo porta a godere di una sorta di "onnipotenza", dovuta alla percezione dell'immunità di cui continua a godere qualsiasi cosa abbia fatto.
Ed è così che si guasta il suo carattere in un processo irreversibile, sino alla tragica conclusione.
L'invisibilità - con il potere che ne deriva - ha agito sulla sua mente come una sostanza tossica.
Un successivo romanzo dello scrittore Ralph Ellison dallo stesso titolo (quasi: Uomo invisibile), invece, tratta dell'invisibilità sociale del nero d'America.




Qui, il protagonista del romanzo non ha nome: è un giovane come ce ne sono tanti e la sua storia vuole avere un valore esemplare. La sua "invisibilità" è quella di tutti i neri, non soltanto umiliati, sfruttati ed adoperati in questa o quella occasione, ma radicalmente negati nella loro esistenza di uomini. Due sono i poli della storia: il Sud dei campi di cotone, dove i neri vivono ancora nelle baracche del tempo degli schiavi; il Sud che il protagonista, cacciato dal suo collegio, lascerà per cercare fortuna a New York. Qui, dove pure i negri sembrano vivere liberamente a contatto con i bianchi, egli andrà scoprendo una più sottile e crudele solitudine; l'indifferenza, più disumana della solitudine.

Come postilla aggiungerei che l'uomo invisibile è quanto mai attuale. Proprio nel Blob dell'ultimo dell'anno è stato tirato in ballo per qualificare il nostro premier che, dopo l'attentato vile di Tartaglia, si è ridotto all'invisibilità che è progredita di pari passo con un processo di quasi santificazione, dopo l'atto liberatorio del perdono, che nemmeno il santo padre si è sentito in animo di dispensare alla Majoli che lo ha fatto rovinare a terra nell'irruenza di un tentativo di abbraccio.
Il papa non ha fatto alcuna esternazione esplicita relativa all'insano gesto ed è rimasto pienamente visibile ai suoi devoti. Invece, Berlusconi che ha subito ritenuto opportuno pronunciare parole sante di perdono (ma fuori luogo in relazione al contesto) si è reso invisibile e ora aleggia tra noi. Dove sarà?
Rimaniamo in attesa di avvistamenti...